Il progetto intitolato “Milano: i luoghi della legalità e della memoria” è un’idea concepita dalle scuole del CPL che vuole i ragazzi protagonisti della ricerca storica, culturale e sociale attorno al tema della criminalità organizzata e il cui frutto possa essere messo a disposizione di quanti vorranno seguirne il sentiero tracciato.
L’idea nasce dalla volontà di condividere l’impegno per la legalità lavorando in maniera trasversale in tutta la rete. Ogni scuola ha fornito il suo contributo per la realizzazione del prodotto finale che rimane un cantiere sempre aperto. Questo modo di operare ha consentito ai singoli istituti di non sentirsi solo spettatori o fruitori delle attività legate al CPL, ma di essere soggetti attivi, artefici di una progettualità condivisa, scelta e non subita.
In tal modo abbiamo voluto tenere in considerazione gli istituti che un domani entreranno a far parte della rete del CPL: anche loro potranno adottare un luogo ed arricchire cosi il progetto della mappa
La mappa è un tour virtuale della città di Milano, un tour diverso dagli itinerari turistici a cui siamo abituati, che ci accompagna nei luoghi significativi per la lotta all’illegalità, nelle sue diverse forme, e la diffusione di una cultura della legalità. Targhe, luoghi istituzionali, beni confiscati o aree restituite alla comunità per un recupero delle stesse, sono tutte manifestazione di una coscienza civile che non si arrende alla controcultura dell’illegalità.
Piazza Cesare Beccaria a Milano è intitolata al giurista italiano (Milano, 15 marzo 1738 – Milano, 28 novembre 1794). Cesare Beccaria nasce da una famiglia nobile e ricca nel 1758 si laurea in legge presso l’università di Pavia. La prima figlia nata dal suo matrimonio 1760 sarà la mamma di Alessandro Manzoni. Inizia a frequentare il cenacolo intellettuale milanese che si raccoglie attorno ai fratelli Verri. Nel 1763-64 scrive “ Dei delitti e delle pene”. In quest’opera l’autore sostiene che gli uomini hanno sacrificato una parte delle loro libertà, accettando di vivere secondo le regole della comunità, in cambio di una maggiore sicurezza e di una maggiore utilità. L’autorità dello Stato e delle leggi è quindi da considerarsi legittima finché non oltrepassi certi limiti accettati dai governati in nome del bene comune. Da qui l’opposizione netta alla tortura e alla pena di morte. La prima non garantisce l’emergere della verità, oltre ad essere una pratica disumana, poiché davanti al dolore fisico chiunque sarebbe disposto a confessare qualsiasi delitto. Inoltre siccome il diritto di punire non deve andare oltre la necessità di tutelare i cittadini dagli elementi più pericolosi, non è giusto accanirsi sugli accusati prima di aver provato la loro colpevolezza. Riguardo la pena di morte, essa va abolita in quanto viene meno allo spirito del contratto sociale (nessun uomo è disposto a dare la propria vita in nome della convivenza comunitaria), e perché non è un deterrente efficace contro la criminalità. È importante anche che la pena segua in tempi brevi il reato commesso, per non lasciare l’indiziato nell’incertezza riguardo la sua sorte e per imprimere nella mente dei cittadini la consequenzialità di colpa e pena. In definitiva, lo scopo della pena è fare in modo che un danno commesso nei confronti della società non si ripeta e di scoraggiarne altri: la pena non è più, nella visione di Beccaria, uno strumento per “raddoppiare con altro male il male prodotto dal delitto commesso”, ma uno strumento per impedire che al male già arrecato se ne aggiunga altro ad opera dello stesso criminale o ad opera di altri che dalla sua impunità potrebbero essere incoraggiati. La pena è un mezzo di difesa, un mezzo di prevenzione sociale.
FONTE: https://www.liberliber.it/mediateca/libri/b/beccaria/dei_delitti_e_delle_pene/html/note_cri.htm
Era il 1981 quando il Generale Dalla Chiesa inaugurò la statua in piazza Diaz, come monumento all’arma dei Carabinieri: una granata sormontata da una fiamma. Un anno e tre mesi dopo vi fu aggiunta la targa in memoria della sua morte. Il 3 settembre del 1982 una BMW si affiancò all’auto dove viaggiava Dalla Chiesa e i killer crivellarono con trenta pallottole lui e la moglie. All’epoca il Generale era a capo del nucleo speciale antiterrorismo dei Carabinieri e inviato poi a Palermo come prefetto. Grazie a Dalla Chiesa e ai suoi solleciti al governo del paese, in questo periodo viene formalizzata la figura giuridica del pentito. Facendo leva sul pentitismo, senza tralasciare le azioni di infiltrazione e spionaggio, arriva ad individuare ed arrestare gli esecutori materiali degli omicidi di Aldo Moro e della sua scorta, oltre che arrestare centinaia di fiancheggiatori. Grazie al suo operato viene riconsegnata all’Arma dei carabinieri una rinnovata fiducia popolare. Seppur coinvolto in vicende che lo scuotono, alla fine del 1981 diviene vice comandante generale dell’Arma, come già fu il padre Romano in passato. Fra le polemiche prosegue il suo lavoro, confermando e consolidando la sua immagine pubblica di ufficiale integerrimo. All’inizio del mese di aprile del 1982 Dalla Chiesa scrive al presidente del Consiglio Giovanni Spadolini queste parole: “la corrente democristiana siciliana facente capo ad Andreotti sarebbe stata la “famiglia politica” più inquinata da contaminazioni mafiose“. Un mese dopo viene improvvisamente inviato in Sicilia come prefetto di Palermo per contrastare l’insorgere dell’emergenza mafia, mentre il proseguo delle indagini sui terroristi passa in altre mani.
Fonte:
https://biografieonline.it/biografia-carlo-alberto-dalla-chiesa
Attorno alle 23 del 27 luglio 1993, due vigili urbani (Alessandro Ferrari e Catia Cucchi) videro fumo uscire da un’auto. Qualche minuto dopo giunsero i vigili del fuoco, che notarono la presenza, all’interno del cofano, di un involucro di grosse dimensioni. Temendo trattarsi di un ordigno esplosivo, ordinarono di evacuare la zona. Mentre si procedeva all’operazione, il veicolo esplose uccidendo (Alessandro Ferrari), tre vigili del fuoco (Carlo La Catena, Sergio Pasotto, Stefano Picerno) e un cittadino marocchino di 44 anni, colpito da un pezzo di lamiera mentre dormiva su una panchina dei vicini giardini pubblici, Driss Moussafir, il cui nome viene comunicato soltanto in un secondo tempo e sempre riportato per ultimo. Prima dell’esplosione, dalla centrale, era stato mandato l’ordine ai vigili urbani di segnalare la targa della macchina; questa scelta costò la vita ad Alessandro Ferrari. Oltre a cinque morti, ci furono diversi feriti e venne anche lesionato il Padiglione d’Arte Moderna e Contemporanea.
In data 27 luglio 2013, a distanza di 20 anni dall’esplosione, è stata posizionata sul luogo della strage una targa commemorativa con i nomi dei caduti e in quell’occasione è stato anche realizzato dai Vigili del Fuoco il video “Saranno fiori bianchi”
In Piazza Lima su un muretto i cittadini di Milano scelsero di mettere una targa con scritto; “Questo spazio è dedicato alla memoria del vigile urbano Alessandro Ferrari caduto nell’adempimento del proprio dovere in via Palestro il 27 luglio del 1993”. Nello stesso posto sul selciato c’è un riconoscimento di chi aveva contribuito a porre la targa ”Banca Agricola Milanese, Fratelli Ingegnoli, Ristorante La Terrazza dell’Hotel Galles per Milano”. Nei giardini di via Morgagni, all’altezza del civico 13, si trova esposta una targa dedicata a tutte le vittime della strage di via Palestro, posta dal Comune di Milano. A Gambino, in provincia di Brescia è stata affissa una targa in memoria di Alessandro Ferrari con scritto; “Alessandro Ferrari (vittima di terrorismo) in via Palestro Milano 27 luglio 1993”. Il Comune gli ha anche dedicato una sala.
Fonte:
http://www.wikimafia.it/wiki/index.php?title=Strage_di_Via_Palestro
Spazio Monee
In Via Attilio Momigliano 3, a Milano, si trova lo Spazio Monee, un bene confiscato alla mafia che grazie al lavoro e all’impegno quotidiano dell’associazione Libera è stato trasformato in un centro di doposcuola.
Sono tanti i ragazzi che ogni giorno passano i loro pomeriggi in questo centro, dove possono trovare un rifugio da tutto per studiare e svagarsi. Era un bar/tavola calda utilizzato da un clan mafioso per lo spaccio di droga. Nei primi anni del 2000 fu sequestrato e nel 2012 riassegnato alla Cooperativa 05 che collabora con l’associazione Libera. Importante è il valore di questo centro che rappresenta in pieno il lavoro di Libera nella restituzione dei beni confiscati alla mafia alla società. Del bene, prima che fosse confiscato, non si sa molto pare che il luogo fosse utilizzato per le attività illecite del clan mafioso.
Giardini Falcone e Borsellino
Lunedì 19 Luglio 2010 a 18 anni dalla morte del Giudice Paolo Borsellino, la città di Milano ha intitolat0 un luogo alla memoria di Falcone e Borsellino i giardini di via Benedetto Marcello. E’ una richiesta che è stata sostenuta in diversi modi dai cittadini milanesi, a cominciare da quando anni fa gli studenti del Liceo Volta piantarono davanti al loro istituto, nei giardini di Benedetto Marcello, un albero alla memoria dei due giudici uccisi dalla mafia. Di fronte a quell’albero ogni anno, il 23 Maggio e il 19 luglio in occasione dell’anniversario delle morti dei giudici si ritrovano ancora adesso numerosi cittadini ed associazioni, segno che il ricordo e l’esempio ed il sacrificio dei due giudici è rimasto nelle menti e nei cuori dei milanesi. L’appuntamento del 23 Maggio è diventato un appuntamento molto importante per molte scuole del territorio Milanese che per quell’occasione affrontano tematiche legate al contrasto del fenomeno mafioso attraverso laboratori, incontri, dibattiti aperti anche al territorio milanese.
Fonte:
http://www.affaritaliani.it/milano/milano_dedica_i_giardini_di_via140710.html
Il Palazzo di giustizia
Verso la fine del XIX secolo si sentiì il bisogno di un nuovo palazzo di giustizia nella città di Milano. La nuova costruzione fu iniziata nel 1932 in corso di Porta Vittoria e si concluse nel 1940. Da allora il palazzo di Giustizia è stato al centro di importanti processi come la condanno a Luciano Liggio nel 1974, la condanna di molti mafiosi con l’operazione Nord Sud degli anni ’90, il processo Mario Chiesa esponente del fenomeno tangentopoli del ’93 e altri. L’edificio è di stampo fascista che richiama simbolicamente un ritorno all’ordine. L’entrata è sormontata da tre espressioni latine: al sommo dell’avancorpo di sinistra “Iurisprudentia est divinarum atque humanarum / rerum notitia iusti atque iniusti scientia” (La Giurisprudenza è la scienza degli affari divini e umani, dei fatti giusti e ingiusti) al sommo dell’Ingresso principale “IUSTITIA / Iuris praecepta sunt haec: honeste vivere / alterum non laedere, suum cuique tribuere” (GIUSTIZIA / I precetti del diritto sono questi: vivere onestamente / non ledere l’Altro, attribuire a ciascuno il suo), al sommo dell’Avancorpo di destra “Sumus ad iustitiam nati neque opinione / sed natura constitutum est ius” (Siamo chiamati alla giustizia fin da quando siamo nati e sulla natura si fonda il diritto, non sull’opinione). All’interno vi è anche una targa in memoria dell’Avv. Ambrosoli.
Il giardino dei giusti
ll “Giardino dei Giusti di Tutto il Mondo” di Milano, in Via Giovanni Cimabue, 40 situato nel Parco Monte Stella su un’area di circa 7626 mq, così come il più noto giardino di Gerusalemme, vuole celebrare e onorare tutti i giusti che nel mondo, con le loro azioni e in molti casi a costo della propria vita, si sono opposti in diversi modi a qualsiasi forma di genocidio e totalitarismo. A ciascuno di loro è stato dedicato un pruno, messo a dimora durante una cerimonia, con un cippo in granito deposto nel prato sottostante.
Il Giardino è stato realizzato su proposta di Gabriele Nissim, presidente di Gariwo (Gardens of the Righteous Worldwide) la Foresta dei Giusti, e inaugurato il 24 gennaio 2003: cinque anni dopo, nel 2008, il Consiglio comunale decide di dare forma giuridica al luogo del parco contenente il giardino, tramite una associazione i cui soci fondatori sono Il Comune di Milano, l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e il Comitato mondiale Gariwo.
I primi alberi sono stati dedicati ai personaggi dei primi tre Giardini nel mondo: Moshe Bejski, giardino di Gerusalemme in Israele; Pietro Kuciukian, giardino di Yerevan in Armenia; Svetlana Broz, giardino di Sarajevo in Bosnia-Erzegovina.
Fonte:
La piscina di via Iseo 10 è un Centro sportivo che nel mese di ottobre del 2011 è stato vittima di un incendio doloso, interpretato da subito come un segnale intimidatorio della criminalità organizzata. Il centro sportivo, proprietà dell’amministrazione comunale di Milano, era stato coinvolto in una maxioperazione contro la ‘ndrangheta in Lombardia ed era fra gli interessi della famiglia Flachi. Il prefetto di Milano aveva revocato la concessione a causa di infiltrazione mafiosa e da poco prima della scorsa estate la concessione della gestione era stata assegnata a Milanosport.
L’incendio ha provocato una forte reazione della città e in particolare degli abitanti del quartiere che hanno manifestato a gran voce la propria estraneità alla mafia e il proprio impegno per la tutela della legalità.
Il Centro sportivo è stato riaperto nel 2015.
FONTE:
Targa in memoria dell’Avv. Ambrosoli
Il 19 Marzo 2014, In Via Morozzo della Rocca 1 viene esposta la nuova targa dedicata all’avvocato Giorgio Ambrosoli ucciso nella notte tra l’11 e il 12 luglio 1979 proprio in questa via. Nel 1974 viene scelto dall’allora governatore della Banca d’Italia, Guido Carli, come commissario liquidatore della Banca Privata Italiana portata quasi al fallimento da Michele Sindona. Il crack della Bpi Durante le indagini si rende conto che c’erano gravi irregolarità nei conti e che i libri contabili erano stati falsati. Sindona aveva consolidati rapporti con pezzi della politica, della finanza e della criminalità organizzata siciliana. Minacce e pressioni Ambrosoli comincia a ricevere pressioni, gli chiedono di impostare il suo rapporto in modo da evitare l’arresto di Sindona. Le intimidazioni diventano minacce di morte. A quel punto capisce che la sua vita è a rischio ma decide di andare avanti comunque. Dopo la nomina a commissario liquidatore di un istituto di credito, benché fosse oggetto di pressioni e minacce, assolse all’incarico affidatogli con inflessibile rigore e costante impegno. Si espose a sempre più gravi intimidazioni, tanto da essere assassinato prima di poter concludere il suo mandato. Per l’omicidio il 18 marzo 1986 a Milano furono condannati all’ergastolo Michele Sindona, banchiere membro della loggia P2 e mandante dell’assassinio, e Robert Venetucci. Era a casa sua a Milano con amici a vedere un incontro di boxe. Squilla il telefono lui risponde ma dall’altra parte non parla nessuno. A fine serata accompagna in macchina i suoi amici. Tornando indietro, mentre parcheggiava sotto casa, un uomo si accosta e gli spara quattro colpi. Era il mafioso italoamericano William Aricò, ingaggiato proprio da Michele Sindona.
Fonte:
Gli orti di via Padova
Gli Orti di Via Padova sono un orto-giardino condiviso, progettato dal Circolo Reteambiente di Legambiente, si coltiva insieme e si divide quanto si produce. L’obbiettivo è stato quello di permettere a più persone di fruire dell’orto ed insieme di riqualificare ambientalmente un’area abbandonata e degradata, per diventare luogo di aggregazione sociale.
Nel 2014 venne firmata tra Legambiente e il Municipio 2 di Milano, la convenzione per il terreno, sito in via Esterle, angolo Via Petraccone, sulla base della Delibera dell’allora Sindaco Pisapia, che definisce come concepire l’orto condiviso in un contesto urbano.
Gli Orti si trovano nel quartiere più multietnico di Milano, nei pressi di Via Padova. Quartiere storico di ondate migratorie, prima interne, dal veneto, poi dal sud Italia, ora dal sud del mondo.
Nei primi mesi è stata ripulita l’area circostante e il terreno dai detriti e rifiuti accumulatisi nel corso degli anni
Oggi l’area e il terreno sono tornati a nuovo splendore con la partecipazione attiva dei cittadini del quartiere. Con le sue attività, eventi, collaborazioni e partecipazione a bandi pubblici gli Orti di via Padova sono diventati una realtà sociale funzionante, capace di autosostenersi.
Tutti i collaboratori (circa 50-60) sono volontari, oltre alla grande partecipazione attiva della cittadinanza. Inoltre sono molte le associazioni, istituzioni e aziende con cui abbiamo collaborato per intraprendere diversi e nuovi progetti: Associazione Recup, Municipio Zona 2, Comune di Milano, Amsa, Soci Coop Via Palmanova, Apicoltura Mauro Veca, T12Lab, Amici del Parco Trotter, Salumeria del Designer, Cascina Biblioteca, Orti Martesana, Parrocchia di San Crisostomo, Associazione Spazio Libero, Cascina Bollate, Accademia del gioco dimenticato, Jane’s Walk Milano, Radio Popolare, NoLo, Associazione Ortica, Museo Botanico di Milano, Via Padova viva, Giovani Astrofili Milanesi, Scout Milano 4, Itsos Albe Steiner, Nostrale, e Martinitt ect.
FONTE
https://www.lanuovaecologia.it/milano-orti-sociali-via-padova/
Cascina Chiaravalle
Cascina Chiaravalle in via Via Sant’Arialdo, 69 è il bene più grande confiscato alla criminalità organizzata in Lombardia. Almeno mille metri quadrati di abitazioni, distribuiti in due grandi case dipinte di giallo e una dependance dove forse giocavano i bambini. Più un terreno agricolo sterminato che nell’annotazione della prefettura misura 200 ettari, già in parte coltivati a frutteto, distesi tra i campi di papaveri e grano della periferia Sud, appena oltre il Cimitero di Chiaravalle. Valore stimato: 2,3 milioni di euro.
Confiscata alla criminalità organizzata nel luglio 2012, Casa Chiaravalle è stata assegnata dal Comune di Milano a un gruppo di organizzazioni (Chico Mendes, Arci, Consorzio SIS e La Strada onlus) al fine di realizzare una molteplicità di progetti socio culturali che vanno dall’accoglienza di famiglie senza casa a iniziative di promozione della legalità.
Lussuosa residenza del boss. Originariamente la villa era perfettamente attrezzata, con stanze addirittura ricoperte di marmi pregiati e confort di ogni genere. Quando il proprietario – un boss calabrese condannato per una lunga serie di reati (usura, traffico di droga, furto, etc.) – ha dovuto lasciare l’immobile nel 2009, ha vandalizzato l’intero edificio poi confiscato definitivamente dall’autorità giudiziaria nel luglio 2012. Sul citofono, all’ingresso, c’è ancora il cognome del vecchio proprietario: Molluso. La Sezione autonoma Misure di prevenzione del Tribunale di Milano ha sequestrato la tenuta, nel 2009 (a luglio 2012 la confisca definitiva): non c’era proporzione tra il reddito dichiarato e un tenore di vita da milionario. Troppo per un uomo arrivato dalla Calabria, che al Nord ha collezionato condanne per i reati più vari: furto di autotreni, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, messa in circolazione di banconote false e falsi titoli di Stato, prestito ad usura, e altri ancora, senza escludere il sospetto di frequentazioni di ‘ndrangheta (non è mai stato condannato, però, per associazione a delinquere di tipo mafioso). Una ricchezza accumulata negli anni, dagli Ottanta, investita in parte a Chiaravalle, dove la famiglia s’era stabilita da tempo.
Fonte:
Giardini Lea Garofalo
Il numero 6 di Viale Montello è stato per decenni uno dei quartier generali della ‘ndrangheta in città. A poca distanza dall’incrocio con via Paolo Sarpi sorgeva una vecchia corte, che per la criminalità calabrese al nord era un vero e proprio fortino: al suo interno venivano nascoste armi, anche di grosso calibro, e il cortile si poteva usare come luogo per regolamenti di conti o esecuzioni. Gran parte dell’eroina e della cocaina transitata per Milano a partire dagli anni ‘90, probabilmente, ha visto le mura dello stabile.
Davanti al luogo in cui si trovava il fortino della ‘ndrangheta sorge il giardino comunitario Lea Garofalo, a testimonianza e ricordo della violenza che si consumava quotidianamente dall’altra parte della strada.
Lea Garofalo è stata una vittima di ‘ndrangheta, uccisa il 24 novembre del 2009 in piazza Prealpi per aver deciso di collaborare con la giustizia contro la famiglia dell’ex compagno, la famiglia Cosco.
Lea Garofalo ha trascorso una parte della sua vita nel vecchio fortino di viale Montello, quando con il compagno Carlo Cosco, un narcotrafficante vicino agli ambienti ‘ndranghetisti di Petilia Policastro, si trasferì a Milano, appena diciassettenne. Il giardino comunitario è dedicato alla sua memoria dal 19 ottobre del 2013. Quel giorno, al mattino si tennero i funerali di Lea — celebrati a quattro anni dalla sua morte a causa delle tristi vicende criminali e giudiziarie del suo cadavere, bruciato in un sobborgo di Monza dopo l’omicidio — e al pomeriggio il giardino venne intitolato in suo onore. Dal 1960 il giardino venne destinato dal comune a ospitare dei circhi di passaggio. Negli anni duemila venne occupato dalla Piccola scuola di circo, una volta sgomberata il giardino divenne una sorta di discarica a cielo aperto. Nel 2011 degli abitanti della zona decisero di ripulire il giardino e restituirlo alla cittadinanza, cosa che fu fatta nel 2012. Oggi, l’ex marito di Lea Garofalo e suo assassino materiale, Carlo Cosco, sta scontando l’ergastolo, insieme ad altri quattro complici. Il giardino Lea Garofalo oggi esiste anche perché è un giardino comunitario